NON-LUOGO
Il non-luogo è uno spazio fisico che non riesce a identificarsi come luogo antropologico. Sono spazi che non vengono caratterizzati da un’identità definita e rimangono pertanto aree di passaggio che non sono in grado di consentire la nascita di un legame relazionale o simbolico tra gli individui che li frequentano.
I non-luoghi possono essere caratterizzati da una funzione estremamente specifica, spesso legata al trasporto e alla mobilità, così come possono non avere una funzione immediatamente comprensibile e identitaria, in entrambi i casi sono spazi che non hanno un carattere relazionale e la cui collocazione fisica risulta indifferente o equivalente ad altre: una metropolitana, uno svincolo stradale, uno slargo che non è una piazza sono luoghi in cui passiamo tutti i giorni senza soffermarci a pensare allo spazio urbano che rappresentano.
Inoltre, il non-luogo può avere un’accezione soggettiva e legata dunque alle esperienze e necessità del singolo individuo: quello che per tutti è un non-luogo sarà invece un luogo anche solo per l’unica persona che lo frequenta con uno scopo differente.
I non-luoghi quindi occupano una parte decisamente rilevante nella vita della città, sono quei posti attraversati, trapassati e non notati, in cui siamo intenti a fare altro o totalmente isolati in noi stessi, ma che cuciono assieme la trama della città contemporanea.
FRONTIERA
La frontiera è per definizione “ciò che sta di fronte”, è uno spazio fisico e in alcuni casi anche mentale, che separa due o più realtà, mantenendo un carattere di permeabilità: la si può travalicare per raggiungere qualcosa di molto diverso da ciò che ci si è lasciati alle spalle.
La frontiera è una sfumatura più o meno netta della struttura urbana.
La possiamo trovare all’interno della città come ai confini della stessa, ma in entrambi i casi la identifichiamo in quelle zone di risulta, dove la città non è arrivata completamente.
Può avere un’estensione variabile e prendere forma di una via poco frequentata, di uno spiazzo, di un edificio o addirittura di un intero quartiere. Frontiera però non è sinonimo di degrado, piuttosto è una parte di città non pienamente vissuta, a cui è lasciato il ruolo di comunicare in silenzio con chi l’attraversa.
É l’espansione stessa della città a generare frontiere quando tasselli vecchi e nuovi del puzzle urbano entrano in contrasto lungo i margini. Realtà urbane diverse si legano ad una gamma variegata di abitanti che magari si sentono appartenere più a uno o all’altro fronte. Per passare dall’una all’altra si attraversa una terra di nessuno, un luogo che emana una sensazione di estraneità, dove magari sentiamo un odore o un rumore insoliti, dove non ci sentiamo a casa, in cui passando ci sentiamo spinti ad andare avanti, a non fermarci. La percezione della frontiera è uno stato mentale suggerito dal contesto, profondamente legato e condizionato dal background psicologico di chi la percorre.
SPAZIO ETEROTOPICO
Lo spazio eterotopico è un luogo completamente localizzabile nello spazio, in cui vengono proiettate visioni alternative alla realtà, migliorandola o denunciando l'assoluta discordanza con essa.
Si tratta di luoghi predisposti ad assolvere specifiche funzioni o soddisfare determinati bisogni, come potrebbero essere luoghi privi di particolari configurazioni usuali. Ciò che li rende spazi eterotopici è la loro capacità di sviluppare un'identità accentrando un senso di inclusione e di appartenenza verso specifici pensieri o interessi, lontani dalla sfera del reale.
I luoghi dello spettacolo, il lunapark o il cimitero sono da sempre predisposti per comunicare con altri mondi – configurando questo come la propria funzione – e accogliendo la comune necessità di entrare in relazione con queste realtà. Nella società contemporanea è sempre più persistente il bisogno di raggiungere una visione differente da quella in cui si vive, tanto da arrivare ad escludersi dalla società a volte. Quando riconosciamo, all'interno della città, una concentrazione di emozioni, sensazioni e pensieri (non necessariamente legati ad una grande quantità di persone), rivolti verso la comune fuga dalla realtà, lì troveremo uno spazio eterotopico.
SCHERMO
Nell'era dell’informazione qualsiasi cosa può trasmettere un messaggio. Immersi in questa sovrabbondanza, è divenuto impercettibile il confine della sfera personale; la comunicazione di massa è costruita sulle singole necessità, le esperienze personali sono potenzialmente pubbliche. Sembra dunque imprescindibile che per comunicare un pensiero sia necessario allinearsi ad un neo- simbolismo globalizzato.
Anche la città risponde a queste logiche nonostante sia da sempre palcoscenico di manifestazioni di interesse private o pubbliche. Basti pensare ai templi dedicati alle divinità, alle cattedrali, ai palazzi del potere, come anche alle manifestazioni di piazza, le rivolte e le rivoluzioni; tutte espressioni di chi, vivendo la città, è in grado di trasformarne il significato.
Se nel contesto urbano contemporaneo parliamo però di schermi, il motivo va ricercato nell'immediatezza della ricezione del messaggio, prioritaria rispetto all'azione che ne consegue e soprattutto allo spazio che la ospita. Le strade e gli spazi pubblici si ripetono uguali riempiendosi di brand, le forme degli edifici si modificano per veicolare meglio l'informazione, altri vengono oscurati perché considerati anacronistici o desueti. Infine, le architetture stesse abbandonano ogni contatto con la realtà e si proiettano nell'eterea ricerca di un'immagine.
Schermo è tutto ciò che si sovrappone alla voce della città trasformandone i valori, le caratteristiche e l'identità, uniformando luoghi e culture distanti sotto un unico linguaggio.
FRATTURA
Una frattura all’interno della città è fondamentalmente un ostacolo, spesso inevitabile o indispensabile, che genera divisione. È impenetrabile al movimento trasversale o comunque non è facile da travalicare. Di conseguenza ha un potere disgregante, arrivando a mettere in crisi la continuità della struttura urbana.
Le dimensioni e le forme che può assumere la frattura dipendono dall’elemento urbano che la costituisce: un muro, una ferrovia, un edificio, un dislivello sono solo alcuni di quegli ostacoli su cui la città sembra vada a sbattere.
Possiamo incontrare fratture lineari, che hanno una dimensione prevalente e generano ai margini delle sponde urbane, che a volte divengono luoghi di incontro e di socialità; o fratture puntuali, che invece definiscono dei conclavi all’interno del tessuto urbano, impermeabili rispetto al contesto.
Una frattura può essere inevitabile, se si sviluppa in relazione alla morfologia del territorio, oppure può essere un compromesso necessario per lo sviluppo della città, come uno scalo ferroviario o una strada veloce che si inserisce nel tessuto urbano; o ancora può essere volontaria se si perseguono logiche insediative di chiusura con il resto della città.
A chi passa in prossimità di una frattura, è subito chiaro che più in là di così non può andare. Al massimo si può osservare ciò che sta dall’altra parte, lontano, o quello che si intravede all’interno. Se ci si trova all’interno, si ha una percezione del tutto ribaltata, come se la città fosse più lontana.
Nonostante siano zone di confine e di rottura, a volte avviene che le fratture diventino elementi riconoscibili all’interno della città, acquisendo una simbologia propria. Possiamo dire che in prossimità di una frattura, l’identità del luogo viene assunta dall’elemento stesso che genera la frattura.
BIGNESS
La bigness è un vero e proprio manifesto della città e della società contemporanee. Quando l’edificio raggiunge una dimensione ed una massa tali da rompere il rapporto di scala con l’uomo, con il contesto e con la città stessa, automaticamente perde la caratterizzazione stessa di edificio per diventare bigness.
Contenuto e contenitore non hanno più relazione; le funzioni si mischiano in una risposta programmatica e commerciale a crescita esponenziale; l’interno non comunica più con l’esterno; la sua collocazione diventa del tutto ininfluente, la percezione del contesto scompare schiacciata dalla gravità di questo edificio-città o di questa città-edificio.
Se la percezione della bigness spesso genera un senso di oppressione, di disorientamento e di confusione è perché la bigness stessa nasce con questo preciso intento oppure perché lo stato d’animo di chi la vive o ci si imbatte non viene minimamente contemplato. Tutto segue le dinamiche del mercato: la ricerca della tecnologia e della tecnica costruttiva stesse sono un mezzo, uno slogan per comunicare potenza economica e commerciale nella società globalizzata.
Incarnando tutti questi caratteri la bigness si pone come ineluttabile, la sua morale è al di sopra della concezione di bene e di male, delle disquisizioni estetiche ed architettoniche, della ricerca di motivazioni. Si pone nei confronti della città contemporanea come emblema della sfida, antica come la natura umana, a superare costantemente il limite di ciò che l’uomo può progettare e realizzare, anche a costo di perdere il rapporto con l’opera stessa.
INTERFERENZA
Con il termine interferenza viene definito l'insieme degli eventi urbani che generano incoerenze, contraddizioni, informalità e discontinuità.
L’interferenza è un fatto prevalentemente percettivo, è una sensazione di disordine la cui causa non è immediatamente identificabile, una nota leggermente disarmonica che genera un accordo strano, diverso o stravagante.
L’incoerenza può generare una gamma di stati d’animo completamente diversi e totalmente soggettivi: dallo smarrimento al fastidio, dalla meraviglia fino all’incredulità.
La sua caratteristica principale è la capacità di non autodenunciarsi, di non urlare la sua natura estranea, altra rispetto al contesto in cui si trova. Questo carattere è la necessaria conseguenza della principale causa di interferenze: l’evoluzione urbana stessa. La città, che cambia, si rinnova e si stratifica seguendo il fluire del tempo, non sempre sceglie precisamente cosa sacrificare, cosa dimenticare, e ci si appoggia sopra o a fianco lasciando qualcosa intatto. Una colonna appoggiata al basamento di un edificio moderno, una piccola casetta popolare incastrata tra palazzi di dieci piani, sono forme nella città che emanano vibrazioni diverse dalle altre che si fanno notare nel momento in cui ti domandi da dove provengano.
Proprio questo suo stretto rapporto con il tempo rende l’interferenza estremamente trasformista, capace di inserirsi in un contesto diverso fino a mimetizzarvisi, come allo stesso tempo di divenirne un elemento identitario e caratterizzante.
L’interferenza è la memoria dello scorrere del tempo, ci ricorda che la città non è un organismo statico e che il disordine e l’incoerenza possono essere una ricchezza.
VUOTO
Succede di muoversi in una città ed imbattersi in spazi estranei che non si riescono a definire se non per quanto contrastano con ciò che li circonda: è più facile capire cosa non sono rispetto a cosa sono. Questi luoghi non sembrano comunicare con il contesto in cui si trovano oppure non riescono a stabilire un contatto con le persone e la vita che si sviluppa attorno a loro. Sono spazi spesso abbandonati o inutilizzati che trasmettono la sensazione di non poterci entrare o di non poterli attraversare.
Il vuoto per sua natura è negazione, pertanto rispondono a questa voce tutti quegli spazi interni alla città che si presentano come semplici assenze di costruito: fuori e tutto attorno c’è la città ma all’interno non c’è, come se nella disorganizzazione della sua crescita espansiva la città si fosse dimenticata qualcosa, lasciandosi indietro dei buchi.
Tuttavia, l’accezione di vuoto sviluppa anche un significato meno fisico e più percettivo, includendo quegli spazi che emanano una forza repulsiva (come una gravità al contrario) che ne garantisce la sopravvivenza in uno stato di inalterazione: spazi che vengono evitati e aggirati dalle dinamiche della città che li circonda nonostante siano perfettamente incastonati nella sua struttura.
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